Bambini, studiare la musica aiuta a parlare

InArteSalus, promotrice dell’uso della musica nei diversi contesti di vita dell’individuo, condivide questo interessante articolo di Viola Rita tratto da www.repubblica.it

che racconta come lo studio della musica “…già all’età di 4 o 5 anni, potrebbero aiutare il piccolo a riconoscere non solo i suoni musicali, ma anche quelli delle parole pronunciate”

configurandosi così come un possibile strumento contro la dislessia e i disturbi del linguaggio.

MUSICA e LINGUAGGIO sono collegati: suonare da piccoli il pianoforte potrebbe aiutare anche distinguere le parole pronunciate a voce alta, un’abilità alla base della lettura la comprensione di un testo scritto. Ad individuare questo collegamento è uno studio guidato dal Massachusetts Institute of Technology (Mit), che mostra come proporre a bambini di 4 o 5 anni delle prime lezioni di pianoforte porterebbe vantaggi anche nell’elaborazione del linguaggio. Questi benefici, inoltre, sarebbero maggiori di quelli ottenuti con esercizi di lettura. I risultati in un campione di bambini cinesi sono pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences.

• SUONI E PAROLE
Già alcuni studi precedenti avevano mostrato come i musicisti fossero più abili nella comprensione di un testo scritto, nel distinguere le parole dal brusio di sottofondo e nell’elaborare rapidamente il linguaggio verbale. Del resto, musica e linguaggio condividono diversi aspetti legati al riconoscimento e all’elaborazione dei suoni. In generale, spiegano gli autori, chi distingue meglio le parole ha anche una migliore consapevolezza fonologica, ovvero riconosce meglio la struttura sonora delle parole: questa abilità è un elemento chiave per imparare a leggere.

Partendo da queste conoscenze, gli autori del Mit hanno voluto quantificare il collegamento fra musica e linguaggio. Per farlo, hanno studiato i benefici di semplici lezioni di pianoforte in un gruppo di 75 bambini pechinesi di 4 e 5 anni, attraverso la collaborazione con i ricercatori dell’Università Normale di Pechino. I piccoli partecipanti sono stati divisi in 3 gruppi, di cui il primo riceveva 3 lezioni di pianoforte a settimana della durata di 45 minuti, il secondo gruppo partecipava ad un training di lettura e il terzo non seguiva alcun corso. Nelle lezioni di musica sono state presentate nozioni di base sulle note, sul ritmo e sul sistema di simboli che rappresentano una melodia e i bambini ascoltavano ed imparavano a riconoscere le note. Dopo un mese dalla conclusione del programma – durato sei mesi – i ricercatori hanno misurato le abilità dei bambini nel riuscire a discriminare le parole, distinguendo le vocali, le consonanti e il tono (nel cinese mandarino, infatti, molte parole si differenziano soltanto nel tono).

• I RISULTATI
In base ai risultati, sorprendentemente i bambini che avevano seguito lezioni di piano hanno mostrato un vantaggio significativo, anche rispetto al gruppo che si era esercitato nella lettura, nel distinguere parole ascoltate che differivano soltanto per una consonante (in italiano un esempio è “parente” e “patente”, dove la “r” si trasforma nella “t”). Mentre nel riconoscere parole che cambiavano solo per una vocale (come “colore” e “calore”), entrambi i gruppi di bambini che avevano seguito un corso (di piano oppure di lettura) sono risultati più abili rispetto a chi non aveva partecipato ad alcun programma.

I ricercatori hanno anche utilizzato un’elettroencefalografia, un esame non invasivo che misura l’attività cerebrale. Questa misurazione ha rivelato che i bambini che avevano preso lezioni di musica mostravano anche una risposta cerebrale superiore quando ascoltavano suoni con toni diversi. Questa maggiore attivazione suggerisce la presenza di una più elevata sensibilità nel cogliere le differenze di tono, come ha spiegato Robert Desimone, direttore dell’istituto McGovern Institute for Brain Research del Mit e coautore del paper, così i partecipanti che avevano preso lezioni di pianoforte erano in grado anche di distinguere meglio le parole. Mentre riguardo ad altre abilità cognitive e al quoziente intellettivo non c’erano differenze significative fra i tre gruppi coinvolti nello studio. Insomma, la musica aiutava principalmente nell’elaborazione del linguaggio.

• DALLA MUSICA AL GIOCO 
Alla base di tutto c’è la capacità di cogliere le differenze. “Senz’altro – sottolinea Marilena Mazzolini, psicoterapeuta dell’età evolutiva dell’Ordine degli Psicologi del lazio – la maggiore abilità di differenziare gli elementi, che possono essere i suoni delle note, le parole del linguaggio, i dettagli di un quadro, aumenta le conoscenze e rende più complesso e articolato l’universo cognitivo – ma anche quello emotivo ed affettivo”. In tal senso, spiega l’esperta, è possibile anticipare alcune esperienze cognitive, come la musica, soprattutto se si considera che anche lo sviluppo dei bambini è anticipato rispetto al passato. “Questo si vede nella neurologia neonatale – sottolinea Mazzolini – dato che già alla nascita i piccoli sono più sviluppati a livello neurologico: ad esempio nascono ad occhi aperti e non più con i pungi chiusi, con un potenziamento di alcune connessioni nervose. Questo avviene grazie alla più adeguata alimentazione della madre, alle cure durante la gravidanza e in generale ad un migliore stato di salute”.

Da un lato fornire questi stimoli cognitivi può essere un elemento positivo, come spiega l’esperta, ma non bisogna dimenticare che il gioco deve rimanere un elemento centrale. “Il gioco è puro divertimento e rappresenta una delle principali leve della salute psico-fisica del bambino – chiarisce Mazzolini – promuovendo il benessere corporeo, emotivo, affettivo, nonché cognitivo”. In tal senso, anche la proposta del pianoforte deve mantenere l’aspetto di nutrimento ludico. “A questa età la musica deve essere vissuta come esperienza di gioco e scoperta di nuove forme di espressione – conclude la psicologa – e non finalizzata alla resa scolastica o alla prestazione, ma al divertimento”.

Di |2019-03-25T10:10:49+01:0025 Marzo 2019|
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